La Commissione Europea ha annunciato il nuovo piano di aiuti (recovery fund) ai paesi membri da 750 miliardi di euro di cui :
• 500 miliardi da distribuire sotto forma di aiuti a fondo perduto
• e 250 sotto forma di prestiti.

La proposta del recovery fund andrà discussa e validata a breve dai 27 paesi membri.
La quota di fondi per l’Italia – principale beneficiario degli aiuti – ammonta a 172,7 miliardi di euro, di cui:

  • 81,807 miliardi versati come aiuti a fondo perduto
  • 90,938 miliardi come prestiti.

Il nuovo fondo per la ripresa è agganciato al prossimo bilancio UE 2021-2027, sarà finanziato con l’emissione di obbligazioni e si baserà su tre pilastri:

  • sostegno ai paesi membri;
  • rilancio dell’economia;
  • rafforzamento di programmi già esistenti.


Per finanziare il fondo del ricovery fund, il valore del bilancio passerà da 1 al 2% del PIL complessivo dei paesi membri.

I singoli stati membri contribuiscono al bilancio comunitario in misura proporzionale alla rispettiva prosperità economica.
Secondo i dati del consuntivo 2017 l’Italia risulta essere il terzo contributore al bilancio europeo, partecipando al relativo finanziamento nella misura di circa il 12%. la prima posizione è occupata dalla Germania (20,5%), al secondo posto figura la Francia (15,5%).
La potenza di fuoco della strategia anticrisi messa in campo dall’Unione Europea supera i 3.000 miliardi di euro.

Un’opportunità per l’Italia

Insomma una cascata di soldi europei che, associati agli aiuti nazionali, rappresentano per l’Italia un’opportunità forse irripetibile non solo per uscire quanto più velocemente possibile dalla crisi conseguente alla pandemia causata dal coronavirus ma anche, se non soprattutto, per migliorare la competitività complessiva del paese.
Bisognerà quindi capire se i nostri dirigenti politici saranno in grado di governare questo processo di straordinaria importanza per il futuro delle nostre generazioni.

Questo lo capiremo dalle politiche adottate che ci aiuteranno a comprendere meglio anche se prevarrà il partito della “rendita” alimentato dalle spinte populistiche trasversali o, piuttosto, quello della “produzione” sostenuto da forze moderate che, attualmente, sembrano essere minoritarie all’interno del Parlamento.

Sta di fatto che da queste scelte discernerà non solo il futuro come nazione ma anche il peso politico e la reputazione in Europa.
Un’occasione mancata sarebbe una tragedia senza precedenti perché oltre a non progredire nella scala gerarchica del potere europeo ci rilegherebbe in un ruolo da comprimari e non da attori protagonisti come invece converrebbe ad un paese come il nostro.

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