Manager della complessità e di prossimità. Il mio percorso.

Voglio raccontarvi il mio percorso da manager della complessità e di prossimità.

Il mio percorso professionale ha avuto origine dalla ricerca sul campo effettuata per la scrittura della mia tesi di laurea. Un tesi in in Economia.

Titolo della tesi: La grande impresa e la diffusione di competenze, diretta e indiretta, come volano per l’economia locale. Il caso Texas Instruments di Aversa (CE).

Un’esperienza triennale (1995/1998) che si tradusse anche in uno stage formativo in affiancamento al Direttore Risorse Umane del medesimo stabilimento.

Quell’indagine dimostrò che, un modello culturale/organizzativo pensato per creare vantaggi competitivi ad un’azienda si rivelò, nel tempo e inconsapevolmente, uno straordinario volano di sviluppo civico ed economico territoriale.

Questo a conferma che, per un’impresa, non significa soltanto trasformare le materie prime in prodotti finiti o fornire dei servizi. Ma, anche, diffondere, direttamente o indirettamente, competenze sul territorio e dunque arricchirlo.

 

La carriera manageriale

A seguire, dopo una formazione di base da economista dello sviluppo (sono stato allievo e poi collaboratore dell’economista Luca Meldolesi), con l’idea di sperimentare sul campo innovative politiche economiche di sviluppo integrato, mi sono avviato, circa venticinque anni fa, ad una carriera manageriale.

Mi sono specializzato nello sviluppo e riorganizzazione di aziende profit, imprese sociali e pubblica amministrazione.

Da temporary manager direttore generale di piccole e medie imprese sono evoluto professionalmente nel tempo rivestendo diversi ruoli. Fino a diventare oggi un manager della complessità e di prossimità  in grado di governare importanti processi di cambiamento civico ed economico territoriale.

 

Anni di crescita collettiva

Ho trascorso diversi anni a cercare di rianimare o lanciare aziende, ma, anche, a formare imprenditori, manager, dipendenti e giovani con un occhio da aziendalista e l’altro da economista, sperimentando sul campo un modello formativo a cavallo tra economico, aziendale e sociale finalizzato a valorizzare menti/talenti e a forgiare coscienze civiche.

Un approccio che si fonda su uno stile di direzione partecipativo finalizzato a elevare i gradi civici e libertà individuali.

 

Diffondere autoimprenditorialità

Questo ha significato iniettare cultura ma, anche, favorire una diversa mentalità: più proiettata all’autoimprenditorialità (nel senso più ampio della parola) che alla dipendenza/assistenza.

I retaggi culturali territoriali e familiari sono stati i principali nemici da combattere anche se, laddove sono riuscito a scardinarli, “l’onda d’urto” ha prodotto notevoli risultati in maniera diretta sulle persone e indiretta con ricadute sul contesto sociale di riferimento.

L’esperienza sin qui maturata mi ha rivelato che, scelti e formati bene i leader, l’effetto domino a cascata sulle organizzazioni di riferimento è quasi scontato. I risultati sono inimmaginabili e raggiungibili in tempi relativamente brevi.

 

Lavorare sulle sorgenti

Questo ha significato imparare a lavorare sulle “sorgenti” più che esclusivamente sulle “manifestazioni” dei problemi che, nella pratica, si traduce nella costruzione di matrici formative individuandole tra le persone che ricoprono ruoli apicali nelle organizzazioni e utilizzandole poi come diffusori di cultura d’impresa.

Contesti e persone che possono essere diversi perfino tra comuni confinanti a conferma che, la genetica culturale locale, è una variabile molto condizionante.

La qualità e potenzialità delle persone “gestite” si sono rivelate mediamente superiori nelle comunità interne del Paese più che in quelle delle zone urbane.

 

Gestione delle risorse umane in territori differenti

Gestire risorse umane ad esempio della provincia di Avellino è cosa completamente diversa da quella della città di Roma a favore della prima.

I motivi sono diversi ma, sostanzialmente, si condensano in una maggiore “fame” di sapere, crescita e riscatto sociale frutto di:

  • sensazione di abbandono istituzionale;
  • deindustrializzazione senza politiche di conversione in altro genere di economia;
  • crisi congiunturale;
  • economia di sussistenza intrafamiliare che aiuta a sopperire ai bassi salari e alle deroghe contrattuali in termini di diritti che, spesso, le imprese sono “costrette” ad applicare per sopravvivere;
  • giovani mediamente più orientati alla costruzione (e quindi all’investimento personale e professionale) che alla rendita;
  • modelli familiari (forse troppo velocemente considerati superati) che, in realtà, fungono da collante e ammortizzatore sociale, oltre che da incubatore di talenti e imprese.

 

Questi esercizi pratici sono stati, tra l’altro, utili per sperimentare sul campo alcuni concetti teorici dei massimi esponenti della corrente di pensiero del possibilismo come Albert Otto Hirschman, Eugenio Colorni e Luca Meldolesi, a cui mi ispiro.

Esperienze che hanno fatto evolvere costantemente il mio pensiero rafforzando in me la convinzione che la validità di una teoria si misura sulla base dell’effettivo riscontro pratico della stessa, e che l’esercizio sul campo è a sua volta funzionale e indispensabile all’evoluzione della teoria stessa.

Scopri di più sul mio progetto di Scuola d’Impresa Diffusa.